Mentre la politica romana si interroga se può lavorare in aula parlamentare più di 2,5 giorni a settimana, l’Italia che lavora affonda silenziosa in una palude. E’ il caso delle arance pagate a 7 centesimi al kg in campagna che tolgono ai nostri agricoltori perfino la voglia di pensare al domani. Come avevamo accennato nel nostro precedente articolo il fenomeno del caporalato potrà essere stroncato solo in caso di un’adeguata remunerazione del prodotto in campagna; in caso contrario inevitabile sarà il continuo, per non dire maggiore, ricorso a questa pratica per riuscire nella raccolta, evitando così di vedere per mesi alberi carichi di frutta marcita. Parole, tante parole. Dei fatti nemmeno l’ombra. Abbandonati dalle Istituzioni, dai pseudo-sindacati ed anche dai media nazionali, gli agricoltori cosa possono fare? Ancora una volta le politiche degli annunci di Coldiretti – Martina si sono dimostrate fallimentari con il risultato che chi ci rimette è sempre l’agricoltore, colui che non ha voce in capitolo.
In un articolo di Salvatore Caruso apparso su meridionews.it la descrizione, con chiare parole, dell’assurda situazione che da troppo anni persiste nelle nostre campagne siciliane.
«Un chilo di arance vendute a otto centesimi. Questo il prezzo di mercato che c’è in giro nel nostro territorio. Così non recuperiamo neanche le spese sostenute. Meglio abbandonare tutto». Si tratta dell’amaro sfogo di un gruppo di produttori agricoli dell’hinterland catanese che, scoraggiati per l’andamento del mercato degli agrumi, hanno chiesto alle autorità locali e ai sindacati di categoria di intervenire per trovare assieme una soluzione per evitare il totale disastro della campagna, ormai quasi del tutto compromessa.
«Francamente sono stanco di vedere i miei sacrifici mandati al macero», dichiara Giuseppe Caponnetto, produttore e proprietario di alcuni fondi a Gerbini, nel territorio di Paternò. «Ho trovato una intesa di massima con un commerciante – spiega – ci siamo accordati per nove centesimi al chilo; preferisco vendere subito prima di non riuscire a piazzarli. Li vendo ma non so sinceramente se riesco a coprire le spese sostenute. Forte la tentazione di mandare tutto a quel paese». Concetto ribadito da un altro imprenditore, Carmelo Rapisarda, il quale si ritrova delle proprietà in zona Rotondella, nel Comune di Belpasso. «Ho speso migliaia e migliaia di euro; cosa prenderò in cambio? – si chiede – Spiccioli, un fico secco». Secondo il produttore «il mercato è inflazionato da prodotti agrumicoli provenienti da Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, i cui prodotti sono dal punto di vista della qualità inferiori ai nostri». Di chi sono le responsabilità? «La colpa è un po’ di tutti – dice Rapisarda – nostra come produttori che andiamo avanti in solitudine; le istituzioni locali i cui rappresentanti non battono i pugni per difendere i nostri prodotti, per arrivare alle deputazioni regionali e nazionali che sembrano sorde alla realtà del nostro territorio». Il commerciante è scoraggiato. «Devo ancora vendere le mie arance. Ho avuto contatti con qualche commerciante. Il prezzo varia dai sette ai dieci centesimi al chilo».
La grave crisi agrumicola è stata portata al centro dell’attenzione da tre consiglieri comunali di Paternò, Salvatore Fallica, Ezio Messina e Ivan Furnari. I rappresentanti hanno raccolto le denunce degli agrumicultori locali evidenziando il fatto che il commercio e la raccolta sono fermi «a causa dei livelli bassissimi dei prezzi alla produzione che non consentono alcuna remunerazione rispetto ai costi di produzione e di trasporto – sottolineano – L’arrivo sul nostro territorio di arance e olio d’oliva da fuori, spacciati e commercializzati per prodotto tipico siciliano da alcuni operatori locali, assume contorni drammatici per l’intera economia del nostro territorio». I tre consiglieri sostengono di non poter «abbandonare imprenditori che ogni anno investono tanto lavoro e soldi nelle coltivazioni agricole, dando lavoro a migliaia di persone, alimentando una filiera produttiva che è il vanto della Sicilia». Infatti, tutto ciò «rischia di compromettere irrimediabilmente la produzione di migliaia di ettari di coltivazioni e fare precipitare il settore in una crisi irreversibile, nonostante nel corso degli anni siano stati promossi interventi per il riconoscimento di produzioni tipiche di pregio a denominazione di origine».
I tre consiglieri comunali hanno invitato il sindaco paternese Mauro Mangano e la presidente del consiglio comunale Laura Bottino ad attivarsi in modo urgente per tutelare i produttori agricoli coinvolgendo in una iniziativa coordinata i sindaci dei cosiddetti Comuni agrumetati. Da qui alcune proposte che Fallica, Messina e Furnari ritengono utili. «Attivare una serie di finanziamenti regionali e altri atti a ritirare la produzione di frutti di minore qualità sul mercato a un prezzo a partire da 20 centesimi, in modo di dare respiro ai produttori – elencano – Destinare tali frutti per distribuzioni e assaggio nei luoghi di arrivo dei turisti e viaggiatori, oppure nelle mense ospedali, case di riposo. Spingere i consorzi di tutela degli agrumi come l’Igp arancia rossa di Sicilia e il distretto degli agrumi di Sicilia come le dop dell’olio extra vergine a uscire dall’anonimato, svolgendo in realtà il ruolo di tutela e promozione dei nostri prodotti tipici in Italia e all’estero».
Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra