Con molta calma l’azione giudiziaria contro il Re del vino italiano Zonin sta proseguendo; colui che ha fatto sprofondare negli abissi, insieme a diversi dirigenti, il maggiore Istituto veneto vive la sua dorata pensione sotto il sole siciliano ed americano.
Il Sole 24 Ore ha pubblicato, in modo serio e doveroso, il vero modus operandi che la vecchia Dirigenza dell’Istituto avevano con la clientela.
C’è di tutto un po’ nella richiesta dell’azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici della Popolare di Vicenza che il nuovo Cda ha proposto. E’ un ricco e amaro cahier de doleances di come non si gestisce un istituto di credito affondato dopo le perdite miliardarie e che ha visto andare in fumo 6 miliardi di valore azionario. Si va da quell’investimento “fittizio” da 350 milioni in fondi esteri che anziché rappresentare un mero investimento finanziario in cerca di rendimenti si è rivelata una riserva di liquidità della banca con cui si effettuavano operazioni di acquisto di bond e partecipazioni di clienti pluri-indebitati dell’istituto.
Ma c’è anche la scellerata politica di gestione del credito che poco aveva a che fare con la sana e prudente gestione che si richiede a un banchiere. Fidi concessi a società con scarso o nullo apporto di capitali e/o a società con rating negativi e a cui non si chiedevano le necessarie garanzie a tutela della banca. L’istituto presieduto per decenni da Gianni Zonin presentava infatti l’anomalia, in controtendenza con il mercato, di un aumento degli impieghi derivante da una politica di concessione del credito lasca e che ha prodotto esponenzialmente una altrettanto rapida escalation delle sofferenze e degli incagli. Nella verifica a campione sugli affidamenti sopra i 5 milioni sono state infatti evidenziati un cumulo di crediti deteriorati per la cifra abnorme di 3,4 miliardi di euro. Quella facilità di concessione del credito anche a soggetti con scarsa capacità di rimborso faceva il paio con la pratica dei cosiddetti finanziamenti baciati che consisteva in prestiti in cambio dell’acquisto di azioni. Un meccanismo vizioso per il quale più la Popolare aumentava gli impieghi più si capitalizzava. Evidentemente un’esigenza urgente per gli ex vertici per poter rispettare i requisiti di capitale in via indiretta.
Sotto tiro nell’indagine interna il ruolo degli investimenti in fondi esteri della banca che hanno arrecato alla fine perdite per Vicenza per 170 milioni sui 350 milioni investiti. I fondi (i due fondi Optimum Multistrategy 1 e 2 gestiti da Alberto Matta e facenti capo alla società maltese Futura Funds Sicav e il fondo Athena balanced capital) avevano come unico sottoscrittore la Banca vicentina che tra il 2012 e il 2013 ha sottoscritto quote per 350 milioni di euro. Ma più che un investimento di natura finanziaria si sono rivelati una riserva estera di liquidità che la banca, come recita il documento che promuove l’azione di responsabilità, usava per altri scopi. Tra questi l’acquisto di bond e partecipazioni di società a basso merito di credito appartenenti a soggetti già pesantemente indebitati con la banca stessa.
Poi c’è la partita del credito facile e senza garanzie. Come si è visto una mole di prestiti a soggetti con scarso merito di credito cui di contro venivano offerte azioni della banca e che ha provocato un cumulo di sofferenze e incagli per 3,4 miliardi.
La relazione cita un caso esemplare: la Popolare di Vicenza nel 2011 fornisce credito per 20 milioni a favore di una società (Anpezo poi divenuta San Marco srl) priva di capacità reddituale per l’acquisto di un complesso alberghiero a Cortina D’Ampezzo entro il quale sarebbe dovuta sorgere una filiale della banca. Nel 2013 per accelerare i lavori Vicenza si compra anche una quota del capitale di san Marco srl. Tutto il denaro a rischio lo mette la banca. Il progetto si impantana e la società accumula perdite. Per attenuare il danno la Vicenza è costretta a ricapitalizzare nel 2015 la società pena il fallimento e a incrementare ulteriormente la propria partecipazione nella società. E così ecco il danno patrimoniale tutto in carico alla banca che ha finanziato a leva l’intera operazione che per aprire una filiale bancaria si era comprata un intero futuro albergo.
E poi tutto il capitolo sulle anomalie nella determinazione del valore delle azioni che lo stesso Cda si autoassegnava e che si sono rivelate del tutto incongruenti con i fondamentali economici della banca e il mesto capitolo sul capitale finanziato. La banca tendeva a prestare denaro offrendo in cambio la sottoscrizione per una quota parte del fido di azioni della banca stessa. Un meccanismo che permetteva alla banca di aumentare il patrimonio tanto più aumentava gli impieghi. Ma quel capitale non può essere iscritto a patrimonio di vigilanza tanto che dopo il dissesto la Bce ha imposto lo scorporo di quel capitale che ha dato
negli anni l’apparenza di una solidità patrimoniale che era in realtà dopata come poi si è rivelato.
Se a questo si aggiunge la messa a sofferenza e incaglio imposta dalle Autorità di prestiti tenuti in bonis per anni nei bilanci della banca ecco che il cocktail è servito. L’aumento improvviso ed esponenziale dello stock di sofferenze e con essa le pesanti rettifiche e il minor capitale dato dallo scorporo del capitale finanziato dalla stessa banca hanno portato la Vicenza al collasso.
Alla fine i risparmiatori vengono lasciati in mutande, gli ex amministratori saranno “premiati” con super liquidazioni e chi doveva fare controlli ha messo le fette di salame sugli occhi. Quanti agricoltori ed allevatori saranno stati traditi da questi funzionari senza scrupoli ? Quanti sacrifici di una vita intera di lavoro e sudore saranno stati gettati nella spazzatura ? Una cosa è certa: io come consumatore posso liberamente decidere di non bere più vino Zonin, almeno fino a quando verranno restituiti tutti i risparmi sottratti agli azionisti dell’Istituto. E voi ?
Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra