Si è aperta la 88ª Fiera Agricola Zootecnica Italiana di Montichiari (BS), ma più che una piazza dove incontrarsi, confrontarsi, seguire l’innovazione tecnologica, è sembrata la valle del lamento.
Purtroppo la situazione non è per nulla rosea e non si scorge la luce in fondo al tunnel, si sente che il settore è allo sbando, senza una regolamentazione del mercato, senza una reale tutela della nostra primaria eccellenza.
Riportiamo il Comunicato Stampa di Matteo Bernardelli:
(Montichiari, 19 febbraio) «Nel 1988 il latte alla stalla veniva pagato 800 lire al litro e il prezzo alla distribuzione il consumatore lo pagava 1.500-1.600 lire. Oggi ci pagano 35-36 centesimi al litro, quando non addirittura 31-32, e il consumatore lo paga 1,60 euro allo scaffale. Qualcosa non torna e non serve un genio della matematica per capirlo».
Fra gli allevatori presenti alla 88ª Fiera Agricola Zootecnica Italiana di Montichiari (FAZI) Roberto Capelletti, 50 anni, una stalla di 450 capi a Covo (Bergamo) e 50 ettari coltivati, parte dai numeri e non nasconde il proprio malumore. «D’inverno devo fare il norcino come secondo lavoro per mettere i soldi in stalla – dichiara – e ho un’ipoteca sull’azienda, colpa anche delle quote latte che hanno frenato la produzione italiana per 20 anni, per non dire 30».
La curiosità di investire per migliorare la competitività e soprattutto ridurre i costi di produzione si infrange con lo scenario attuale del prezzo del latte.
La rabbia è mista alla preoccupazione, perché, ribadisce Capelletti, «in questo momento per il latte non ci sono sbocchi e il contratto di conferimento del latte che ho con Igor Gorgonzola scadrà con il prossimo 31 marzo. E dopo?».
Fra le poche certezze di Capelletti c’è quella che non servirebbe un commissario, basterebbe un cambio radicale di strategia nella gestione dell’intera vicenda, che va ben oltre il prezzo del latte. «Credo che abbia ragione l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava – prosegue Capelletti -: siano le Regioni che producono il latte a confrontarsi con l’Unione europea, mica lo Stato, che deve mediare con altre situazioni che non riguardano la filiera lattiero casearia. Anche se, a dirla tutta, fra la Brexit e il Trattato di Schengen che fra un po’ salterà in aria, non so che cosa rimarrà di questa Europa».
Chi tronca la conversazione sul nascere è Angiolino Bolentini, 50 anni, allevatore di Leno (Brescia) con 150 animali e 65 ettari coltivati. «Non mi chieda del prezzo, perché è uno schifo – taglia corto –al di sotto dei costi di produzione alla stalla, nonostante le materie prime non siano rincarate. Tuttavia, le prospettive future non sono certo positive».
L’azienda Bolentini conferisce il latte a un caseificio bresciano che produce mozzarella e formaggi freschi. «Alcuni miei colleghi sono già stati contattati dalla struttura, perché con il prossimo marzo diminuiranno il prezzo pagato alla stalla – avverte – e mi aspetto che fra un po’ lo diranno anche a me».
il sentimento è di rammarico, per una vita spesa a lavorare in un’attività che richiede molta passione e che impegna moltissimo, quotidianamente. «Eppure, arriviamo a fine mese e siamo sempre in bolletta – ammette – e a volte siamo costretti a rimandare i pagamenti ai fornitori, finché non ci pagano il latte o non arrivano i soldi della Pac. Ma è una follia ammazzarsi di lavoro tutti i giorni e dover ricorrere ai fondi della Pac per poter chiudere i buchi».
Non è facile. «Voglio comunque trasmettere a mio figlio, che ha 21 anni e lavora con noi in azienda, un po’ di positività per andare avanti, perché rimane un lavoro bellissimo», assicura Bolentini.
Fabio Oneda, allevatore di Leno (Brescia), 50 anni e circa 100 capi in stalla, oltre a 30 ettari coltivati, parla da una posizione per ora più tranquilla. «Conferisco il mio latte a Granarolo – spiega – e fino a fine marzo il prezzo di conferimento è di 37 centesimi. Non so quale sarà il pagamento da aprile, ma rispetto alle situazioni che ci sono qui non sono certo fra quelli messi peggio». Tutto questo, però, non basta. «In questa situazione chi ha investito è più in difficoltà – dice Oneda – soprattutto per l’incertezza del futuro, visto che secondo gli americani una ripresa vera si avrà solo con la fine del 2017».
Mistero totale sul contratto del latte. «Chi andrà a trattare? Anche perché sembra che l’orientamento dell’industria di trasformazione sia quello di stipulare accordi con i singoli allevatori – racconta -. Credo che la situazione sia al collasso in Italia e in Europa e che anche la possibilità di stoccaggio non porti a grandi risultati, vista la mancanza di spazio. Dove andremo a mettere il burro o il formaggio?».
Porta sulla spalle il peso di un comparto zootecnico totalmente in apnea Emanuele Fumagalli, 30 anni, di Bottanuco (Bergamo). «Oltre a 250 bovine da latte alleviamo anche suini e bovini da carne – specifica – ma la situazione è pesante per tutti i comparti. Un vero disastro, non sappiamo per quanto potremo andare avanti».
La soluzione? «Servirebbe secondo me l’etichettatura d’origine – sostiene – perché non si sa quanto latte proveniente dall’estero poi si trasforma magicamente in italiano dopo l’ultima lavorazione».
Bocciato sonoramente il Fondo di solidarietà. «Ora come ora chiedere denaro agli allevatori è come chiederli a un senzatetto, la stessa cosa – dice Fumagalli – ma vi assicuro che prima di morire lotteremo duramente, perché ci sentiamo totalmente abbandonati dallo Stato».
Preoccupato per il futuro anche il diciottenne Stefano Saccomandi, che lavora in un’azienda agricola a indirizzo lattiero a Brugherio, area Monza-Brianza. «La situazione è drammatica – sussurra – e soprattutto non governata, perché il prezzo del latte è inferiore ai costi di produzione, le importazioni senza una etichettatura mancano di trasparenza e le imprese sono in affanno, alcune di queste a rischio chiusura».
Nessuna timidezza per il giovane coadiuvante. «La filiera deve ragionare sull’obiettivo della propria sopravvivenza e il settore del latte deve essere sfilato da Roma per essere gestito sull’asse Regioni produttrici-Europa – valuta -. Non possiamo tollerare che l’industria applichi due prezzi, come è capitato a noi, uno per il latte prodotto nel rispetto della quota di produzione al 31 marzo 2015, che oggi non esiste più, e un listino da latte spot per una eventuale produzione superiore».
Non è solo con la PAC che si sostiene il mercato, in questo momento è come dare del vino ad un alcoolizzato che è in crisi d’astinenza, lo calmerai ma non lo stai aiutando ad uscirne, anzi scivolerà sempre più nella sua infinita sete.
E’ con un aiuto mirato e limitando i danni causati degli industriali che il mercato può essere sanato, con politiche di contenimento delle oscillazioni, soprattutto nella caduta al ribasso.
E chi dovrebbe mediare e portare i malori del mercato ai tavoli della politica, tace, sempre.
Mauro Cappuccio
Segretario Generale
Insieme per la Terra