Esiste un’etica nell’agroalimentare?
Questa volta vogliamo portarVi alla lettura di un nostro caro amico che ci segue da tempo, ci ma mandato una lettera, uno sfogo, un suo punto di vista che noi sentiamo anche nostro. Vi preghiamo di leggerla fino in fondo, ne vale davvero la pena e sarete d’accordo con il suo punto di vista.
L’agricoltura del terzo millennio ha subito a mio avviso un’involuzione che si potrebbe etichettare come eccessiva perdita dell’autonomia imprenditoriale.
Delle tipiche aziende agricole che nel dopo guerra avevano fatto notevoli passi in avanti in termini di tecnologia e di produzioni di eccellenza resta poco. Ormai sono quasi tutte assoggettate al mondo finanziario da una parte, oppure a detentori di brevetti di piante che in non pochi casi coincidono con le catene distributive (GDO). Queste ultime attuano il seguente perverso meccanismo: ti do le piante e coltivi, poi noi te le commercializziamo, sperando ahimè in una liquidazione finale onesta.
Tutto questo è consentito da una liberalizzazione selvaggia, la quale ha permesso che pochi – si contano sulle dita delle mani – hanno un potere economico/finanziario imponente, impressionante ed anche ricattatorio.
Se non ti adegui sei tagliato fuori, nessuno ti vende le piante, tantomeno ti commercializzano il prodotto. C’è da rimpiangere i gloriosi mercati generali presenti in quasi tutti i capoluoghi, dove c’era una sana concorrenza.
Tutto questo lo vivo insieme a mio fratello, nella piana del Metapontino in provincia di Matera. Abbiamo ereditato un’azienda agricola agli inizi degli anni “80”, composta di 100 ettari, coltivati in parte a frutteti circa 30 ettari, la restante parte a cereali ed, in minima parte, orticole.
Abbiamo i conti economici in ordine, ma la mole di lavoro che sviluppiamo non è proporzionale ai ricavi. Gli strumenti legislativi ci sarebbero pure ma ahimè non sono attuati: si veda in proposito la legge 27/12 articolo 62, detta del “giusto prezzo”, rimasta lettera morta.
Di converso dobbiamo subire i rigori della legge anticaporalato 199/16, come ultima chicca. In pratica i contratti di lavoro diventano legge, ma la cosa che più preoccupa sono gli indici che ne determinano la soglia e sono quattro: il salario, l’antinfortunistica, l’orario di lavoro e la video sorveglianza, lasciate li senza un parametro oggettivo uguale per tutti. In tal modo, prevale la libera discrezione del funzionario controllore e del giudice.
Non sono contrario a tale legge che però andrebbe meglio regolamentata. Proporrei, però, di applicarla anche alla parte finale della catena produttiva e cioè alla grande distribuzione, per imporle il rispetto della legge sul giusto prezzo (articolo 62).
Come determinare i prezzi per la GDO? Semplice basta prendere le mercuriali delle Camere di Commercio e farle diventare legge come il salario pattuito con i nostri dipendenti.
Infatti, le avide compagnie assicurative, per determinare le tariffe da applicare per le polizze anticalamità prendono proprio le quotazioni delle Camere di Commercio, le quali a volte sono il doppio ed in alcuni casi il triplo rispetto all’effettivo prezzo di mercato incassato dal produttore agricolo.
Non possiamo accettare la logica dei due pesi e due misure e cioè quando dobbiamo pagare le coperture assicurative si prendono i prezzi delle Camere di Commercio, poi quando dobbiamo incassare le forniture ai nostri clienti prendiamo quello che ci viene dato.
E’ pur vero che se il prezzo di liquidazione non ci soddisfa, possiamo contestare davanti al Giudice, il quale ci da senz’altro ragione, in quanto il Giudice assume come parametro per la liquidazione delle merci i prezzi Camerali; ma bisognerebbe farlo di volta in volta e comunque espone a ritorsioni l’agricoltore, perché il prossimo anno nessuno poi verrebbe ad acquistare la tua merce.
Dovrebbe essere compito della Politica garantire su tutto il ciclo della produzione, dalla campagna allo scaffale, un giusto ed equo prezzo e non lasciare che tale vuoto sia colmato dalla Magistratura. Vedo il rischio di ritorno al Medioevo, verso una mezzadria al contrario, con gli agricoltori che sono solo proprietari formali, ma hanno l’incombenza delle tasse da pagare e dei contatti da rispettare, oltre il rischio per eventi avversi, cosa che nell’anno mille erano in capo ai feudatari.