Molto chiaro ed ineccepibile l’articolo di Cristiano Riciputi pubblicato su Freshplaza. L’impressione che abbiamo avuto è la totale distanza tra il mondo agricolo (quello produttivo) ed il mondo industriale e della Grande Distribuzione Organizzata. Entrambi non dialogano tra di loro. I secondi che sanno imporre solo le proprie regole ai primi. L’unico risultato concreto è lo spopolamento delle nostre campagne; stesso discorso vale anche per l’allevamento e per la pesca.
In questi giorni si è parlato dell’impegno della Commissione Europea a presentare, nella seconda metà del 2017, una proposta legislativa per contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare. Chiediamo all’avvocato Gualtiero Roveda, referente di Fruitimprese, chiarimenti in merito.
FreshPlaza (FP): Il Commissario europeo all’agricoltura Phil Hogan pare si stia dando molto da fare per sostenere il settore agricolo.
Gualtiero Roveda (GR): In un recente incontro con i presidenti delle associazioni degli agricoltori e delle cooperative agricole di tutta Europa, Hogan ha evidenziato che è necessario “fornire agli agricoltori gli strumenti adatti per gestire responsabilmente i mercati agricoli con un bilancio adeguato”. Il Commissario ha anche preso atto che gli agricoltori – da lui definiti “custodi delle campagne”- svolgono un ruolo essenziale per l’economia europea.
FP: Quali sarebbero le direttrici dell’impegno europeo?
GR: La politica europea, secondo Hogan, deve supportare gli agricoltori perché siano competitivi e sostenibili a livello ambientale, sociale ed economico. A tal fine è necessario individuare strumenti che stabilizzino il loro reddito e diano loro l’opportunità di investire in tecnologia.
FP: Il Commissario ha dichiarato che la Commissione intende affrontare il problema della distribuzione del valore nella filiera.
GR: E’ vero. Hogan ha dichiarato che sta collaborando con le altre direzioni della Commissione per sostenere la posizione degli agricoltori, in quanto “non stanno guadagnando come dovrebbero”.
FP: La Commissione si è finalmente resa conto che le pratiche commerciali sleali sono un grave problema nella filiera alimentare?
GR: Negli ultimi anni la filiera alimentare europea è stata soggetta a cambiamenti strutturali significativi, che hanno comportato elevati livelli di concentrazione. E’ inoltre prassi diffusa relazionarsi con il contraente debole con pratiche sleali quali ritardi nei pagamenti; modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali; risoluzione ingiustificata del contratto; riscossione di pagamenti per servizi fittizi; imposizione di promozioni, pagamenti per l’esposizione della merce in vista e altri pagamenti aggiuntivi. Le pratiche commerciali sleali sono messe in atto laddove vi sono disuguaglianze nelle relazioni commerciali. La disparità di potere contrattuale determina squilibrio e ciò è dovuto alla crescente concentrazione del potere di mercato tra un numero ridotto di gruppi multinazionali.
FP: E sono gli agricoltori i primi a rimetterci?
GR: E’ di immediata evidenza che chi detiene prodotto deperibile versi in una situazione di svantaggio. Secondo la Commissione, non solo gli agricoltori sono anelli deboli della filiera, ma anche le PMI (piccole e medie imprese). Non si deve dimenticare che le PMI costituiscono oltre il 90% del tessuto economico europeo e sono esposte alle pratiche commerciali sleali, al punto che per loro diventa più difficile sopravvivere sul mercato, intraprendere nuovi investimenti in prodotti e tecnologie oppure innovare.
FP: Chi sono i soggetti danneggiati dalle pratiche sleali?
GR: Le pratiche commerciali sleali hanno conseguenze negative per agricoltori e PMI, con conseguenti ripercussioni sull’intera economia dell’Unione europea, nonché sui consumatori finali limitandone la scelta dei prodotti e l’accesso a soluzioni innovative.
Riporto testualmente un passaggio riportato da Internazionale, il settimanale diretto da Giovanni De Mauro: “Si dirà allora: qual è il danno che riceve il grande pubblico? In fin dei conti, parliamo di relazioni commerciali tra distributori e fornitori, soggette alle dinamiche del libero commercio e della concorrenza. Ma a questo punto è utile fare un passo indietro e tornare alla domanda iniziale: chi paga davvero le famose promozioni e il sottocosto?”
Secondo uno studio condotto dalla società di consulenza londinese Europe Economics, la compartecipazione delle imprese produttive alle iniziative promozionali presso i distributori ammonta, a livello europeo, a qualcosa come 30 o 40 miliardi di euro. Si tratta di una cifra colossale, pari a più della metà dei sussidi che la Commissione europea garantisce agli agricoltori comunitari attraverso la Politica agricola comune (Pac).
In un certo senso, il denaro pubblico alla fine non è utilizzato per innovare o migliorare la qualità, bensì per tenere in piedi un sistema economico iniquo, in cui il più grande mangia il più piccolo.
Come conclude lo stesso studio, “le pratiche sleali nel commercio limitano la possibilità per i fornitori di reinvestire nelle loro imprese e creano un grado di incertezza (alcuni analisti la definiscono ‘paura’) che scoraggia impegni a lungo termine. Nel corso del tempo, ciò ridurrà le possibilità di sopravvivenza di fornitori competenti e risulterà in una mancanza di innovazione e di miglioramento della qualità. Alla fine dei conti, queste pratiche danneggiano il consumatore”.
La distanza tra questi due mondi è talmente alta che, sinceramente, temiamo che sia incolmabile. Cosa succederebbe se il consumatore fosse meglio informato sulla qualità dei prodotti che trova sullo scaffale? Prima di parlare di regole, o comunque di nuove regole, forse sarebbe opportuno che i “tecnici” della situazione facessero uno stage di alcuni mesi nelle realtà agricole; toccare con mano il duro lavoro e le difficoltà quotidiane è l’unico metodo per apprendere la realtà delle cose e quindi costruire un nuovo progetto agricolo.
Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra