Dopo le chiacchiere e le favole raccontate prima – durante e dopo l’Expo siamo tornati alla dura realtà quotidiana dei produttori italiani. Dall’articolo di Repubblica apprendiamo molte difficoltà in alcuni settori del primario italiano ma sottolineiamo alcune nostre perplessità.
MILANO – In qualche caso sono state le condizioni climatiche sfavorevoli. In qualcun altro un parassita. Oppure la concorrenza o l’eccessivo uso di diserbanti chimici. Il risultato è lo stesso: un calo della produzione (nonché un aumento dei prezzi) di alcuni tra i prodotti più noti della tradizione alimentare. E per i quali siamo conosciuti in tutto il mondo. Una concomitanza di eventi che può essere riassunto nell’autunno nero dell’agricoltura italiana.
Interessante è la posizione della Coldiretti che, facendo un’analisi del mercato a livello di tutto il Mediterraneo non si pone quale possa essere la questione di fondo che ha portato al crollo della produzione di olio italiano. Perchè non parlare di come la GDO ha messo in ginocchio i nostri agricoltori? Non è per caso che si respiri aria di complicità tra il mondo sindacale e la Grande Distribuzione?
Olio, mancano le scorte. L’ultimo caso in ordine di tempo vede protagonista l’olio di oliva extravergine. Secondo la Coldiretti, le scorte andranno a esaurirsi già alla metà del 2017, a causa del crollo della produzione, in calo del 38 per cento rispetto a un anno fa. Conseguenza immediata un rialzo delle quotazioni sulla piazza di Bari, la più importante d’Italia, dove settimana scorsa i prezzi sono schizzati anche del 40 per cento. La causa principale è il maltempo, cui si unisce una congiuntura sfavorevole di altri produttori. Si annuncia una “carestia in tutta l’area del Mediterraneo”, con l’eccezione della Spagna che ne ha aprofittato per consolidare il suo primo posto come produttore mondiale, mentre in Grecia e Tunisia è scesa del 20 per cento. Oltre che dall’aumento dei prezzi, i consumatori devono guardarsi dalle possibili contraffazioni: sempre secondo la Coldiretti, in due bottiglie di extravergine su tre c’è più prodotto straniero che italiano, di cui il 60 per cento in arrivo proprio dalla Spagna. Non è il primo anno negativo. In realtà, due anni fa fu anche peggio, quando il clima troppo caldo durante la fioritura e le piogge eccessive in estate avevano favorito la diffusione della mosca olearia. Provocando un calo della produzione superiore al 35 per cento, con punte vicino al 50 per cento in Umbria e Toscana.
Non vi sembra strano come i mass media non si chiedano quale prezzo venga pagato ai produttori di castagne?
Non si trovano castagne. Nelle grandi città siamo abituati ad accendere un mutuo per un sacchetto di caldarroste, ma quest’anno potrebbe andare anche peggio. Perché mai come in questa stagione, la diosponibilità di castagne è stata così bassa: il raccolto, di qualità comunque ottima, rimarrà inferiore ai 20 milioni di chili dello scorso anno, ben al di sotto delle medie storiche. Una tendenza, in realtà che arriva da lontano e ha a che fare con la trasformazione sociale degli italiani: nel 1911 la produzione di castagne ammontava a 829 milioni di chili, ma ancora dieci anni fa era il triplo rispetto a quella attuale. Il rischio, come nel caso dell’olio, è di vedere sulla tavola degli italiani castagne che arrivano da molto lontano. Come già avvenuto l’anno scorso, quando i “marroni” sono stati importati dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Albania. Nel 2015, nonostante la parziale ripresa della produzione, l’Italia ha importato oltre 32 milioni di chilogrammi di castagne (ne importavamo 6 milioni di chilogrammi nel 2010), con ripercussioni sui prezzi corrisposti ai produttori. A causare la “moria” sono gli attacchi del cinipide, un parassita cinese che fa seccare gli alberi ed ha provocato nei boschi italiani una strage.
L’omissione dell’analisi economica riguardante i produttori di miele continua nell’articolo di Repubblica:
Miele, colpa dell’inquinamento. Secondo il Conapi, il consorzio che raccoglie 600 produttori e 75mila alveari, la produzione del 2016 calerà del 70 per cento rispetto all’anno scorso. Su una capacità produttiva media del consorzio di 3mila tonnellate di miele, quest’anno si arriverà a stento a mille. La crisi della produzione provocherà anche un aumento dei prezzi per il consumatore di circa il 20 per cento per tutte le varietà di miele, dal più pregiato Acacia al più comune Millefiori. I consumatori devono guardarsi dalle contraffazioni: il miele importato dalla Cina viene addizionato con zuccheri di riso, ad esempio. Cosa è accaduto? “Le cause sono due – hanno spiegato il responsabili del Conapi – i cambiamenti climatici, di cui le api sono il primo sensore, e l’abuso di pesticidi in agricoltura, che provoca il fenomeno dello spopolamento improvviso di intere colonie. Le api sono delle vere e proprie sentinelle ambientali, dei bioindicatori capaci di intercettare immediatamente le sostanze inquinanti”. Peccato che il progetto del ministero che monitorava lo stato di salute delle api, fondamentale per intervenire prima di possibili morie o sposatementi, sia stato interrotto nel 2014. E solo ora è stato garantito che i fondi verranno reintegrati.
Grano, prezzi in picchiata. I produttori di grano, invece, soffrono del problema opposto. La produzione è persino troppa nel nostro paese. Ma non è questo che ha portato a un verticale crollo dei prezzi, ma la concorrenza: L’Italia è stata “invasa” dai prodotti esteri dai costi ma anche dalla qualità inferiore. Per paradosso, mai come ques’anno, la qualità dei chicchi è stata così elevata: ma i prodotti importati hanno fanno scendere le quotazioni anche del 40 per cento l’estate scorsa.
Ovviamente anche per il vino mancano i riferimenti relativi alla crisi finanziaria di decine di cantine italiane che hanno messo in seria difficoltà molti produttori:
Vino, calano i consumi. Persino il vino, uno degli emblemi del “made in Italy” agricolo nel mondo segna il passo. Ma, per fortuna dei produttori, solo in Italia, dove i consumi negli ultimi dodici mesi sono calati ulteriormente e sono arrivati al livello minimo dall’Unità d’Italia. Tanto è vero che gli italiani sono scesi dal podio: ora, i maggiori consumatori di vino sono nell’ordine Stati Uniti, Francia e Germania. Almeno in questo caso, il dato si compensa con il primo posto dell’Italia come maggior produttore: in un anno in cui è vistosamente calata la disponibilità nel mondo (meno 5 per cento rispetto al 2015), nel nostro paese la produzione è scesa solo del 2 per cento. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della vite e del vino, le previsioni per il 2016 parlano dell’Italia al primo posto con 48,8 milioni di ettolitri, al secondo posto la Francia con 41,9 milioni e la Spagna con 37,8 milioni. Il momento difficile del bicchiere tricolore si conferma anche al via libera ufficiale alla vendita e al consumo del novello Made in Italy, il primo ad essere consumato della vendemmia 2016. Sempre la Coldiretti spiega infatti che la produzione si colloca quest’anno sul minimo storico di appena 2 milioni di bottiglie con il “deblocage” che in Italia è anticipato, di quasi tre settimane rispetto al concorrente Beaujolais nouveau francese, che si potrà assaggiare solo a partire dal 17 novembre 2016.
Non vi sembra che l’omissione di un’informazione corretta da parte dei sindacati sia appositamente voluta ?
Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra