UDINE. Giù le mani dai contributi comunitari agli allevatori. A stabilirlo, con una recente sentenza destinata a fare giurisprudenza, è stata la terza sezione della Cassazione chiamata a esprimersi sull’estinzione operata dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) dei crediti vantati da un’azienda agricola di Roveredo di Varmo in relazione ai contributi Pac.
Soldi che l’Unione europea le aveva già liquidato, ma che poi non le erano stati erogati, in base alla cosiddetta «compensazione atecnica» con gli importi che la società sarebbe stata tenuta a versare, a titolo di «prelievi supplementari» per eccedenza della quota latte assegnatale.
Dopo le pronunce del tribunale di Udine e della Corte d’appello di Trieste, è toccato quindi agli ermellini porre fine alla querelle, sancendo l’illegittimità della compensazione applicata per anni da Agea come una sorta di misura conservativa e cautelare.
Una svolta epocale, a parere dell’avvocato Cesare Tapparo, il legale udinese che assiste decine di allevatori, singoli e in cooperativa, dentro e fuori regione (dal Veneto alla Lombardia), e che nella controversia romana aveva appunto sostenuto le ragioni dell’azienda friulana.
«La Suprema corte ha definitivamente riconosciuto un principio di diritto per il quale da oltre un decennio battaglio nelle aule di giustizia – ha affermato l’avvocato Tapparo –: l’intangibilità e la sostanziale impignorabilità e insequestrabilità dei contributi in agricoltura e zootecnica, che costituiscono ineliminabili “fonti di integrazione del reddito” per tutte le aziende agricole e produttrici. Contributi – aggiunge – che sistematicamente, per anni, sono stati fatti oggetto di trattenute per effetto di un accordo Stato Regioni del dicembre 2006».
E che adesso, a cascata, torneranno nelle mani degli allevatori, per importi che vanno da alcune decine a qualche centinaio di migliaio di euro ad azienda.
Intanto, però, la bagarre giudiziaria scoppiata dopo le pesantissime sanzioni comminate dall’Agea a centinaia di allevatori per lo sforamento delle quote (quelle nazionali e quelle individuali di riferimento assegnate all’inizio del sistema di contingentamento) continua a essere scandita da arresti e ripartenze.
In settembre la vertenza è nuovamente approdata davanti al gip di Roma, per l’opposizione alla seconda richiesta di archiaviazione presentata dalla Procura (e in parte rimodulata a favore degli opponenti). In dicembre, le parti torneranno in tribunale per affrontare anche l’altro filone dell’inchiesta che ipotizza i reati di truffa aggravata e peculato.
Il teorema sostenuto dal collegio difensivo – o meglio, date le circostanze, offensivo – è rimasto lo stesso anche nel nuovo pacchetto di querele presentate tra la primavera e l’estate scorse.
«Agea – sostiene Tapparo – ha manipolato e artatamente modificato i parametri di calcolo all’interno degli algoritmi utilizzati nel Sian e nel Sin, i principali sistemi informatici agricoli nazionali in cui vengono riportati e protocollati i dati di produzione e di consistenza di stalla, adoperati anche, in caso di superamento di quota, per quantificare la parte di prelievo compensabile e quella non compensabile».
Un punto a loro favore era arrivato in aprile, quando il Tar dell’Emilia Romagna aveva annullato il prelievo supplementare per la campagna produttiva 2014/15.
Un ulteriore fronte investigativo è stato nel frattempo aperto a Brescia, dove altre denunce hanno messo in moto un procedimento penale a carico di funzionari regionali, Agea e Sian, per le ipotesi di associazione a delinquere, abuso d’ufficio, omissione d’atti d’ufficio, falso e truffe aggravate.
Nel mirino, «l’omissione – spiega Tapparo – in tali algoritmi del dato, invece fondamentale, del “periodo di lattazione” effettivamente caratterizzante il patrimonio bovino presente nelle stalle italiane, con sospetta sovrapposizione e confusione, nei sistemi informatici nazionali, con l’altro e diverso dato della mera presenza in stalla».
Un puntello ai dubbi sollevati dagli allevatori è contenuto in un dossier inviato in forma anonima agli inquirenti da alcuni sedicenti «tecnici non allineati al sistema del ministero per le Politiche agricole». Qualora tutte le «distonie e assurdità» denunciate non dovessero trovare soddisfazione nelle sedi della magistratura italiana, gli allevatori hanno già dato mandato all’avvocato Tapparo per adire la Corte di Strasburgo.
Messaggero Veneto