A volte la politica italiana unisce le sue forze per difendere il proprio patrimonio enogastronomico dalle insidie dell’Unione Europea. Quella del Lambrusco ne è un esempio lampante. Vi sembra logico dover impegnare risorse pubbliche per difendersi dall’Europa che invece dovrebbe unire i popoli e non distruggere le tipicità locali?
MILANO. Il Consiglio regionale lombardo ha approvato all’unanimità una Risoluzione presentata dal Movimento Cinque Stelle (relatore Giampietro Maccabiani) per la tutela della denominazione «Lambrusco» sia nell’etichettatura di vini DOP (Denominazione di Origine Protetta) che IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Il documento invita la Giunta a vigilare affinché la Commissione Europea ritiri «l’atto delegato» che prevede la liberalizzazione della produzione di questo vino che ha un forte legame con i territori della provincia di Mantova e dell’Emilia e una filiera che conta 8.000 aziende viticole, 20 cantine cooperative, 48 aziende vinicole, oltre 1.000 addetti.
L’impegno chiesto alla Giunta regionale con questa Risoluzione è quindi quello di vigilare che a livello europeo si eviti l’uso improprio della denominazione protetta. Il Lambrusco Mantovano Dop viene prodotto in un’area che comprende i comuni di Viadana, Sabbioneta, Suzzara, Gonzaga, Pegognaga, Moglia, Quistello, San Benedetto Po, Revere, Poggio Rusco e Sermide nelle tipologie rosso e rosato.
Dai vigneti coltivati su 339 ettari si ottengono circa 6,5 milioni di bottiglie di vino da pasto frizzante, di colore rosso rubino e con gradazione minima di 10°. Attualmente la produzione complessiva si attesta oltre i 180 milioni di bottiglie, delle quali più del 63% destinate all’export, per un valore di mercato che si stima superiore ai 570 milioni di euro.
«Esprimo soddisfazione per questa risoluzione che si inserisce in un contesto più generale della tutela delle denominazioni d’origine e del fatto che questa avvenga in corrispondenza dei disciplinari di produzione, del rispetto delle norme in tema di approvvigionamento delle materie prime, piuttosto che di modalità di trasformazione delle stesse. Per un attimo abbiamo rischiato che si passasse da un sistema come l’attuale, in virtù del quale i disciplinari comprendono anche elementi geografici di provenienza, a un sistema nell’ambito del quale non valesse più il termine perentorio geografico di provenienza, ma al contrario fosse possibile usare la stessa indicazione a patto che i vitigni, o gli uvaggi che compongono i vitigni tradizionali, rispettassero le indicazioni dei disciplinari attuali». Lo ha spiegato l’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava, intervenendo in aula nel corso della discussione su una risoluzione sulla tutela dell’utilizzo della menzione ‘Lambrusco’ nell’etichettatura dei vini.
“La proposta – ha detto il consigliere regionale M5S mantovano, Andrea Fiasconaro – è di salvaguardare la menzione del vitigno Lambrusco, ancorandola cioè alla produzione delle zone geografiche di cui è tipico, per scongiurare la liberalizzazione del nome Lambrusco. Dalla UE ci sono stati segnali confortanti, con il commissario all’agricoltura Hogan che ha confermato l’intenzione di riaprire la discussione riguardante la tutela dei vitigni senza penalizzare l’attuale modello del sistema vitivinicolo italiano di qualità. Ci sono stati accordi politici e impegni per evitare tale liberalizzazione, però non vi è ancora nulla di scritto e formale. L’obiettivo di questa risoluzione è di impegnare anche regione Lombardia a vigilare affinché si formalizzi un accordo che possa tutelare il vitigno e la produzione tipica di Lambrusco. Il testo del documento è chiaro: si impegna il presidente Maroni e la giunta a vigilare affinché l’atto delegato sulla tutela dei vini identitari venga ritirato, e che comunque non si realizzi una indiscriminata liberalizzazione dell’utilizzo della menzione di un vitigno, proponendo misure volte alla tutela del carattere locale e della peculiarità del vitigno Lambrusco, nonché delle produzioni Dop e Igp che da esso prendono il nome».
“Condividiamo in toto la risoluzione presentata oggi, così come è stata già condivisa in Commissione Agricoltura – ha dichiarato Marco Carra, consigliere regionale del Pd e capogruppo in Commissione –. Si tratta, infatti, di un vitigno importante presente nel mantovano, nel reggiano, nel modenese e nel bolognese. La prova che la vite labrusca della nostra zona rappresentò la prima possibilità di venire a contatto con l’esperienza enologica dal periodo dell’età del bronzo. Ed è una scoperta dovuta al rinvenimento di semi di vite silvestre proprio nelle zone di produzione attuale del Lambrusco, trovati in località archeologiche poste nei pressi delle terremare, isole emergenti sugli acquitrini conseguenti allo scorrere del fiume Po e sulle prime propaggini appenniniche. Successivi rinvenimenti di altri semi, ci fanno ritenere senz’altro note queste uve selvatiche oltre che ai Latini anche agli Etruschi e ai Galli ligures. Per quanto riguarda i Latini, testimonianze dirette ci giungono da Virgilio, non per nulla mantovano, il quale parla dell’esistenza della vitis labrusca duemila anni fa, nella sua quinta bucolica”.
Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra