In un contesto sociale di arrivismo spietato, di sgomitatori seriali, di imbucati e imbucatori, di partitismo che annienta la meritocrazia, di sovrastrutture finanziarie che giocano con l’economia reale e di perdita di valori, la fiaba bucolica del “ritorno alla terra” riscuote enorme successo. Nell’immaginario collettivo, infatti, la figura del giovane agricoltore rappresenta la fuga dal degrado, dall’omologazione culturale, una sorta di eremitismo depurativo.
Lo sanno bene i burattinai dei media, colletti bianchi che da anni succhiano linfa dall’agricoltura e che, data la chiusura massiccia delle partite iva agricole, si vedono costretti a usare degli escamotage per reperire nuovi adepti, freschi e ingenui. Già, perché il bilancio dell’economia agricola italiana è tutt’altro che roseo: dal 2013, chiudono 60 aziende al giorno.
Una crisi che sta mietendo vittime in tutti i comparti agricoli. Dalla frutticoltura, che vede sparire agrumeti in zone vocate come la Sicilia, alla cerealicoltura, ostaggio di mercati impietosi che ad oggi quotano il grano tenero a 14 miseri centesimi al kg, fino al settore del latte. Storie di volatilità dei mercati, di GDO che strozza produttori e li tiene in ostaggio, di burocrazie elefantiache, di sciacallaggio da parte dell’industria agroalimentare che, per pochi spiccioli, preferisce importare prodotti dall’estero invece che valorizzare il Made in Italy di qualità. Storie di fondi europei che, mentre dovrebbero garantire stabilità e opportunità di sviluppo alle aziende, alimentano apparati ed enti a volte ridotti a veri e propri carrozzoni, serbatoi di voti alla mercé della politica, gestiti senza una visione lungimirante.
Sull’Informatore Agrario, il Prof. Angelo Frascarelli ha sollevato il tema in un editoriale dal titolo lapidario: “Diciamoci la verità, l’agricoltura arranca e va rinnovata a fondo”. Un articolo in cui ha messo in fila una volta per tutte i dati reali del settore primario del nostro Paese. Il valore della nostra produzione agricola, dice, in dieci anni è cresciuto del 14%, in Europa del 22%. L’occupazione continua il suo inesorabile declino, con un tonfo di meno 100mila occupati in dieci anni. I redditi agricoli in Italia sono aumentati del 14%, mentre in Europa del 40%. In generale, l’export dell’agroalimentare è in crescita, ma quello delle materie prime è in caduta costante.
Una crisi che attanaglia da anni il settore, ma che riesce sempre a passare in sordina, sconfinata in trafiletti brevi tra le ultime pagine dei giornali, per far spazio all’idea romantica che esalta il fantomatico ritorno dei giovani alla terra. Belle storie, di laureati, con tanto di foto col sorriso, che lasciano la caotica quotidianità per dedicarsi al piccolo appezzamento di terreno di famiglia. Chissà perché, da anni abbandonato. Storie di fantasia che stimolano la fantasia altrui. Piccole realtà – perché più si è piccoli e più il frazionamento giova al retroscrivania – per tesseramenti, per la gestione dei fascicoli e, via via, per tutta la matassa burocratica che mantiene in vita l’unico settore florido della nostra economia necessario a sbrogliarla: i servizi.
Voglio a tal proposito riportare una citazione del libro “Nella valle senza nome, storia tragicomica di un agricoltore” di Antonio Leotti: “A questo punto, faccio un appello ai giovani. Lo faccio? Ma sì, lo faccio: diffidate della retorica sulla campagna, soprattutto se si tratta di campagna toscana, diffidate di chi vi esorta a ritornare ai mestieri della terra. Ve lo dice un vecchio delinquente. A meno che non abbiate ingenti capitali, eredità da sperperare o, al contrario, non vogliate lavorare come semplici operai, godendo in questo caso di tutte le deliziose durezze del mestiere più bello del mondo senza troppe responsabilità, lasciate perdere. E non credete a quello che dicono i media, non credete a questa storia che i giovani tornano in campagna. Ma dove sono? Io non ne ho visto neanche uno. E fanno bene a non venirci. Cosa ci verrebbero a fare? A confrontarsi con i fatturati, davvero degradanti, che l’agricoltura è in grado di esprimere? A farsi il fegato grosso con l’arroganza dei burocrati scelti accuratamente tra le schiere dei sadici patologici?”.
Io che sono imprenditore agricolo, invece, voglio fare un appello ai media. Lo faccio? Ma sì, lo faccio: quando vi occupate di settori cardine dell’economia come l’agricoltura, fatelo con metodo se non siete del settore. Approfondite, non fermatevi solo ai comunicati stampa che profondono solo vuoto ottimismo. Non fermatevi nemmeno al comunicato di chi l’agricoltura la rappresenta, perché il legame tra coltivatori e associazioni di categoria si è ormai da tempo ossidato.
Ritorno alla #Terra: il manuale bucolico dei #sindacalisti e burocrati sanguisughe