Abbiamo chiesto al nostro Associato Sardo Sole di risponderci ad alcune domande relativamente al progetto Borsa Etica dei Cereali, eccovi lo scambio di domande e risposte:
D: Come si colloca la vostra iniziativa della Borsa Etica dei Cereali rispetto al sistema delle tradizionali Borse merci nazionali?
R: Il sistema borse merci tradizionale delle camere di commercio e un modello da superare (se l’agricoltura vuole ancora essere un settore produttivo in questo paese), in quanto c’è troppa sproporzione tra forza industria molitoria/pastaria e debolezza agricola. La nascita nei contesti cerealicoli di iniziative come la nostra o similari che ruotano intorno a un concetto di filiera che ricerca equilibri tra gli attori, nella consapevolezza che gli stessi sono tra loro portatori, se presi singolarmente, di interessi in contrasto, mentre se invece, ci si considera come un tutt’uno rispetto al consumatore finale ecco che allora questo aspetto del conflitto viene meno.
Anzi, più vado avanti, più mi convinco che ci vorrebbe una borsa etica in Puglia, una in Emilia, una Lazio, una Sicilia ecc per finire di creare un modello alternativo a quello camerale che avrebbe rispetto a quest’ultimo come elemento di novità il fatto che il prezzo di una materia prima lo deve, con ragionevolezza fare chi l ha prodotta, in maniera che il prezzo di un prodotto finito collegato a una filiera sia la somma dei valori di equilibrio di tutti gli attori e non solo della pancia di chi trasforma.
D: Si dice che il grano duro italiano non risponde alle esigenze di qualità della grande industria italiana e che non basterebbe?
R: Si tratta di due balle raccontate ad arte per svilire la produzione nazionale e sciacallare sul prezzo da parte della grande industria molitaria / pastaria (mi permetto di usare per tali imprese la dicitura di “monopolisti di distretto”).
Intanto, in Italia a differenza di altri paesi produttori di grano duro, questo, matura naturalmente, senza bisogno di additivi per indurne la maturazione, che utilizzati per far seccare l’essere vivente pianta rimangono completamente presenti senza più possibilità di essere smaltiti essendo causa della morte della pianta stessa.
Sicuramente se vuole creare le basi di un sistema produttivo nazionale che duri nel tempo orientato alla qualità, è necessario intervenire sullo stoccaggio, infatti, il non stoccare in maniera differenziata le varie partite da parte dei grandi ammassatori non aiuta ad avere una base qualitativa e quantitativa importante.
In merito sempre alla qualità, viene posto l’accento quasi esclusivamente sul contenuto proteico e basta, e questo non va bene.
D: Vogliamo parlare un po anche di salubrità del grano?
R: In generale al sud e isole i nostri grani hanno micotossine zero e aflatossine inferiori ad 1 ciò vuol dure che se il limite ammesso su un prodotto finito e aflatossine inferiori a 4, ogni carrello di grano incamerato con aflatossine inferiore a 1 ne sdogana un altro con aflatossine entro 7 che invece dovrebbe avere altre destinazioni, ma in miscela stanno entro 4.
Anche sulle soglie di proteine che le grandi industrie paventano necessarie ci sarebbe assai da ridire. Intanto per fare una buona pasta servono grani con contenuto proteico di almeno 13,5 -14 di proteine di varietà tenaci, le soglie proposte di 15,5 -16 si spiegano solo e sempre con la logica usata per le aflatossine. Un grano a 16 mi permette dia acquistare all’estero grani a 11 perché in miscela ottengo le soglie proteiche necessarie dei 13,5 14 di proteine. Inoltre con la scusa di pagare un po più degnamente qualche carrello a 16 di proteine si incamerano tutto il resto con prezzo tutto da definire o da definire in momenti in cui ci può essere la nave pronta da portare nei porti per tenere il prezzo alle soglie desiderate.
Veniamo poi all’aspetto della quantità non sufficiente. Se guardiamo i dati statistici nazionali primissimi anni 2000 eravamo vicini con gli ettari coltivati alle esigenze dell’industria molitoria/pastaria, il problema e che tali aziende industriali quella produzione agricola e quegli ettari non li hanno voluti ed oggi molti di questi risultano incolti, ecco perché siamo sempre più dipendenti dall’estero. Vede ogni distretto produttivo importante ha delle aziende leader (monopolisti di distretto) che applicano le politiche convenienti al monopolista ossia, materia prima deve essere un tutto indistinto, inoltre se il distretto agricolo produce ad esempio 500.000 quintali loro te ne comprano la meta pur macinandone magari 2.000.000 q.li in maniera da lasciarsi una riserva e deprimere la produzione locale da riacquistare, in seguito, sulla disperazione dei produttori che non trovando sbocco vedono allungarsi troppo il loro ciclo economico finanziario e portarli a essere costretti a svendere.
D: Cosa ne pensa del decreto ministeriale salvagrano?
R: Sicuramente visti i livelli quotazioni nelle borse tradizionali è chiaro che rappresenta un piccolo aiuto che in media puo incidere a seconda dell’annata e delle rese tra i 2 e 3 euro/q.le. Mi lascia perplesso la limitatezza dell’interpretazione ministeriale orientata esclusivamente alla grande industria pastaria. Che fine hanno fatto il pane (ogni regione ha i suoi pani tipici) le paste fresche (tipiche), i dolci (tipici) ecc. Mi sembra, non vorrei essere cattivo, che si sta mettendo l’accento sul lato sbagliato della filiera. Non capisco perché invece non si sia magari partiti dal pane che ha minori esigenze proteiche della pasta (per fare dell’ottimo pane ci vogliono grani tra i 12-13 di proteine di varietà a glutine morbido) avviando un percorso sui pani tipici territoriali che per essere tali devono essere fatti da materie prime del territorio .
Ed esempio in sardegna si fanno alcuni pani tipici su scala regionale e non solo che se fossero fatti da grano duro coltivato in sardegna, dovremmo riprendere in mano parecchi degli ettari abbandonati. Chiaro che per far questo ci vogliono a valle prezzi degni e logica sistemi tra i vari attori.
Ringraziamo Efisio Rosso per il Suo tempo e la cortesia.
Mauro Cappuccio
Segretario Generale
Insieme per la Terra