Spesso rimango sconcertato da certe dichiarazioni dei nostri politici, dei quali è ben evidente che non hanno proprio idea, dall’alto dei loro comodi e lautamente pagati scranni, cosa voglia dire LAVORARE, sembrano vivere in un mondo a se, come su una nuvola, leggeri legiferano e sentenziano così… in modo effimero e incoerente.
Appunto, da questo Articolo di Agricolae estraggo la nota dell’Onorevole Dario Stefàno (SEL) che si inerpica in un discorso trascendentale che fa ben capire che, nonostante laurea e docenze universitarie, di economia agricola non ne afferra granchè:
“è il passaggio chiave per la lotta al caporalato, quale strumento di studio e indagine sulle dinamiche perverse utilizzate dai caporali per sfruttare i lavoratori. In attesa dell’ok del Senato, però, abbiamo bisogno di accelerare per dare sostegno all’emersione del lavoro irregolare”.
“I decessi della scorsa estate – continuava Stefàno – fotografano la complessità del fenomeno: da una parte le tante lavoratrici italiane che continuano a lavorare nei campi “sotto caporale”, in condizioni sempre più precarie, come testimoniato dal triste sacrificio della signora Paola deceduta d’infarto nelle campagne di Andria. Dall’altra, il ritorno nei campi di chi, a causa della crisi, ha perso il proprio lavoro, con modalità e condizioni che imbarazzerebbero qualsiasi Paese che voglia definirsi civile. A tali lavoratori, infatti, viene imposto di aprire la partita Iva e di accettare contratti part-time, che in realtà sono tempi pieni mascherati. Inoltre, nel mutato contesto geopolitico i Paesi del Mediterraneo hanno assunto un’impropria funzione di ammortizzatore sociale per coloro che scappano dai conflitti che infiammano le loro patrie, in cambio di qualsiasi forma di occupazione anche pericolosa e sottopagata”.
La cosa che non è ancora (forse) ben chiara è che a nessun imprenditore verrebbe voglia di far lavorare gente presa a caso, sotto caporalato, quindi in piena violazione di una manciata di leggi sul lavoro tra penale e civile, evadendo le tasse sul lavoro, INPS, INAIL etc solamente per sottopagarla per guadagnare montagne di euro alla faccia di tutti?
Purtroppo l’agricolo impenitente, è COSTRETTO dal fatto che dovrà vendere il suo prodotto, come ad esempio i pomodori, a 8 centesimi al chilogrammo!
Con 8 centesimi, quante tonnellate dovranno essere raccolte per pagare gli stipendi “regolari” di una ventina di braccianti, facciamo a 800 euro al mese? Forza, conti alla mano:
800 euro che vanno moltiplicati per (quasi) 2 per pagare le tasse sul lavoro (in Italia sono circa il 90% dello stipendio) e siamo a 1500 euro, quindi senza applicare tasse (che dovrà ovviamente pagare anche sul venduto) il bracciante deve raccogliere ALMENO 18.750 chilogrammi di pomodoro per coprire solamente il suo stipendio.
Moltiplicate per 20 braccianti (basteranno?) e siamo a 375.000 KG = 375 tonnellate di pomodoro
E l’agricolo impenitente non ci guadagna niente dopo tutti questi camion di pomodoro? Come rientrerà delle spese vive, gasolio, mutuo sui mezzi agricoli, tasse (tante), acqua, attrezzature. E magari, qualcosa per far mangiare lui e la sua famiglia glieli vogliamo dare?
Siamo onesti, ora al bando l’ironia, ma possono vivere in questo modo?
Se il pomodoro invece di essere acquistato sul campo a 8 centesimi al chilogrammo, fosse acquistato al suo prezzo giusto ed invece di guadagnarci tutta una filiera di 5 o 6 passaggi dal contadino a noi che compriamo il prodotto (magari a 50/60 centesimi al Chilogrammo), non sarebbe più equo?
Quindi vediamo che il caporalato ha terreno fertile la dove le multinazionali e la filiera “spennano” l’agricoltore, che è obbligato a prendere lavoro “sporco” per far fronte ai prezzi che il mercato ha IMPOSTO e quindi se non fa così, se non si piega al prezzo imposto, non può vendere e fallisce.
Se vogliamo dare la “colpa” a qualcuno, non diamola all’agricoltore che non mette in regola le persone che lavorano per lui, diamo la colpa al SISTEMA che il mercato ha imposto, un mercato guidato dalle multinazionali, da una filiera senza scrupoli che non vede altro che il mero guadagno e porta, difatto, all’attuazione di metodi lavorativi rasenti la schiavitù nei modi e nei metodi (ma quale partita IVA???). Si, compreso lo stesso agricoltore impenitente che deve anch’esso ammazzarsi nel campo per guadagnare qualcosa, sempre che non gli capiti la visita di qualche lestofante che gli riassetta i mezzi.
I nostri governanti, bisogna che trovino un modo per dare dignità a chi lavora nei campi, dall’agricoltore al lavoratore stagionale, questo basterebbe ad evitare caporalati ed evasioni fiscali di ogni genere e che lascino a casa le note con le belle parole e gli aggettivi ricercati per dar enfasi, qui servono fatti, leggi che accorciano la filiera e che regolamentino il mercato che, in modo indiretto, alimenta il caporalato.
Mauro Cappuccio
Segretario Generale
Insieme per la Terra